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Il Flow nello sport e la gestione delle emozioni di

Ogni agonista sa che lo sport richiede costanza, tecnica e preparazione per essere praticato con efficacia, questo indipendentemente dalla disciplina che si pratica; eppure spesso succede che atleti preparati e attenti perdano completamente la gestione della propria performance in competizione.
Questo succede quando la preparazione mentale è debole e si esce dallo stato di Flow. Davanti ad una situazione del genere il talento o l’impegno passano in secondo piano, sostituiti da uno stato di ansia e frustrazione che, nel tempo l’atleta abbinerà alle attività competitive e valutative, rendendo insostenibile a se stesso la pressione mentale che ne deriva, condizione che porta ad una sola conclusione, l’abbandono dello sport.
Per fortuna esiste una branca della psicologia che da decenni lavora nell’ambito sportivo (chiamata per l’appunto psicologia sportiva) e che ha analizzato questo fenomeno, catalogando i segnali di avvertimento ed elaborando un processo per invertire questa tendenza.
Questo articolo non tratterà della storia della psicologia sportiva o delle sue conquiste, piuttosto intende offrire un nuovo mezzo ad atleti ed istruttori che si riconoscono in questa situazione.

Che cos’è il Flow?
Il concetto di Flow è stato introdotto nello sport nel 1975 da uno psicologo di origini ungheresi di nome Mihaly Csikszentmihalyi, il Flow consiste in un equilibrio psicofisico che ci permette di direzionare tutte le nostre intenzioni (fisiche e mentali) sulla performance.
Di conseguenza non è errato dire che si entra in uno stato di Flow ogni volta che siamo completamente immersi e concentrati sulla performance, in uno stato simbiotico di intenzione (mentale) e azione (fisica).
Alcuni sport sono facilitati nel trovare tale stato (come ad esempio le discipline di tiro, che vivono la ripetizione del gesto e la scaletta dei suoi elementi con una certa immersività) mentre altri incontrano resistenze dettate da vari elementi che possono distrarci dalla performance (Rumori, luci, azioni frammentate su più giocatori non ben coordinati, etc…), ma andiamo con ordine e partiamo dal principio.

L’importanza di una buona progressione per un buon Flow:
La prima cosa da tenere a mente è che questo stato è fortemente influenzato dalla consegna che dobbiamo soddisfare; infatti l’equilibrio che porta allo stato di Flow è dettato da un bilanciamento tra “difficoltà della performance” e “competenze dell’atleta”.
In altre parole il compito deve essere sempre uno stimolo per l’allievo, una sfida che reputa raggiungibile psicologicamente.
Quando questo equilibrio viene rotto si manifestano due condizioni ugualmente importanti da evitare:
● Quando il compito è troppo difficile: l’allievo vive uno stato di ansia e frustrazione, pensa all’inevitabile disfatta e si concentra su ogni aspetto negativo con tutto il focus a sua disposizione.
● Quando il compito è troppo facile: l’allievo si annoia, smette di applicarsi e vede il compito come una cosa inutile e snervante; condizione che lo porterà a commettere errori banali e grossolani per la distrazione, cosa che lo porterà ad innervosirsi sempre più.
Ambedue queste condizioni hanno la capacità di portare l’atleta all’abbandono sportivo, anche se per motivi diametralmente opposti:

Questo schema (per altro semplicistico) spiega molto bene la base di questo metodo e le deduzioni che possiamo trarre sono le seguenti:

● Se il compito è troppo difficile: bisogna ridimensionare la consegna e semplificare, rendendo così la sfida adeguata alle abilità dell’allievo.
● Se il compito è troppo facile: bisogna aumentare il grado di sfida, rendere l’attività stimolante e coinvolgente in proporzione al livello dell’atleta.
Queste considerazioni rendono evidente che non è possibile creare un programma di lavoro univoco per tutti gli allievi.
Non intendiamo giustificare l’assenza di una scaletta di apprendimento, la progressione degli argomenti è essenziale ma bisogna tenere ben presente che ogni allievo evolverà in maniera differente e potrebbe anche succedere che alcuni allievi evolvano per poi regredire (si pensi ad un semplice infortunio o ad un periodo di fermo per altre ragioni o ad un trauma psicologico che crea dei blocchi).
Di conseguenza il Flow diventa quello strumento che ci permette di leggere con chiarezza lo stato di ogni singolo atleta con il quale lavoreremo, rendendo più facile la diversificazione dei programmi sportivi in base alle competenze specifiche di ognuno.
Spesso succede che un atleta venga incalzato sulla base del tempo e della scaletta di argomenti ma questo metodo non è univoco e nemmeno costante; è bene che ogni formatore lo tenga sempre a mente, perché se il nostro allievo si sta annoiando o sta manifestando stati di ansia e sconforto il vero problema non è la sua condizione ma la consegna che gli stiamo imponendo o il come lo stiamo facendo.